Gionata Mirai | Gionata Mirai Discografia
Gionata Mirai, Nelle Mani, Allusioni
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Gionata Mirai

Discografia

Gionata Mirai – Nelle Mani

(21 aprile 2017)

Gionata Mirai ritorna alla dimensione acustica con Nelle Mani, lavoro di un’urgenza debordante. Dal mantra estatico del precedente Allusioni, si giunge a un lavoro che, oggi, si lascia maggiormente permeare da rifrazioni di luce che si traducono in musica. Nelle Mani è una mappa, un perimetro sonoro, un terreno conquistato con fatica e dedizione, un viaggio a tappe. Undici per la precisione, ognuna delle quali cela un piccolo mistero che l’artista accetta di condividere con l’ascoltatore, in un dialogo a tratti serrato, in botta e risposta, che con il passare dei minuti diviene appassionata richiesta di una chiave di lettura alternativa alla propria. E’ narrazione e condivisione al tempo stesso, quando la musica rallenta e apre a squarci di armonioso silenzio. Le stesse mani che assestano schiaffi, ora, carezzano e perdonano. Mani da uomo, capaci di furia, capaci d’infinita tenerezza. Il vortice che ci ha ammaliato nel precedente lavoro rallenta. Mirai ci siede accanto e ci offre racconti intrisi di dicotomie cromatiche, come se ogni brano fosse un dialogo, a volte concorde e armonioso (Fandango), a volte ironicamente contrastante (Ieri). Un lavoro che nasce dalla consapevolezza, dalla volontà di raggiungere l’essenza stessa dell’essere musicista che, nelle proprie mani, ha la sapienza artigiana, il gesto benedicente, la purezza nuda. E nient’altro gli occorre.

Gionata Mirai – Allusioni (LTD-050)

(1 novembre 2011)

Un disco acustico, strumentale, suonato da solo. Di chitarra 12 corde in fingerpicking. Classico e hardcore insieme. Sicuramente politico. Volto a stimolare sensazioni. “Allusioni”.
Gionata Mirai, già leader dei Super Elastic Bubble Plastic e fra i membri fondatori de Il Teatro degli Orrori, arriva al suo esordio solista con un lavoro che non ti aspetti.
Più devoto a John Renbourn che ai Neurosis, più influenzato da Leo Kottke che dai Jesus Lizard. Con l’ombra lunga dei grandi fingerpicker americani ed inglesi ad emergere in un’attitudine che è narrativa senza l’intenzione di raccontare ma puntando piuttosto ad evocare. Perché questa volta il discorso è quantomai emotivo e di pancia, e le parole non servono, anzi non bastano, a conservare l’intensità delle emozioni. Sono necessarie invece le sole 12 corde di una chitarra arpeggiata e i suoi molteplici colori, che generano intrecci di melodie fatte di bassi, canti, accompagnamenti e non hanno bisogno di nessun altro strumento.
Le allusioni in questo modo arrivano da sole. Alle proprie radici di bambino alle prese con lezioni di chitarra apparentemente inutili ma oggi rivelatesi fondamentali nel riprendere un percorso più classico.
All’urgenza hardcore di realizzare un lavoro scarno nel suono, veloce e breve, tecnicamente semplice ma di forte intensità: che dia le stesse sensazioni che si provano ascoltando un disco HC, dopo l’ultima nota suonata lo stesso primo respiro di chi ha trattenuto il fiato per un po’, lo stesso sguardo per un attimo vuoto dopo il finale fade out.
E più di tutto l’allusione è alla situazione politica planetaria e alla nostra di individui nel presente.
Le tracce di “Allusioni” sono nate dalle immagini del recente disastro giapponese e cercano di costruirsi uno spazio di libertà, dove sia possibile ascoltare un brano di 25 minuti, acustico, strumentale, solitario proprio in un momento storico in cui la gestione del tempo è diventata tutta un’altra cosa e ci è completamente sfuggita di mano, in cui sembra impossibile prendersi una pausa, fermarsi e dedicarsi a sé stessi e alla propria fantasia per più di venti secondi.
Gli arpeggi di un disco come questo, se ascoltati nel momento sbagliato, possono respingere e infastidire. Così “Allusioni” presuppone una scelta, di attenzione e libertà. E scegliere è sempre politica.